Aspettando la Giornata CERM del 7 aprile: approfondimento sui Longobardi

Continuiamo i nostri approfondimenti sui Longobardi per introdurre il pubblico alla Giornata CERM del 7 aprile 2019. Questa volta pubblichiamo un pezzo di Paolo Cammarosano.

L’espansione longobarda in Europa è la terza e ultima delle grandi migrazioni dei popoli germanici verso occidente. Quando entrarono in Italia, nel 568 o 569, i Longobardi avevano alle spalle una vicenda alterna di migrazioni, assestamenti e successive migrazioni, la cui durata fu di oltre cinque secoli. Agli inizi dell’èra cristiana erano sul corso inferiore dell’Elba, cioè sui confini orientali dell’impero romano. La loro migrazione verso il sud ebbe una temporanea conclusione con l’occupazione delle terre a nord del Danubio e nella Bassa Austria. Qui essi costituirono un regno importante e qui avvenne la loro conversione al cristianesimo nella versione ariana. In rapporti inizialmente non ostili sia con il regno dei Franchi sia con l’impero di Bisanzio, in seguito i Longobardi furono indotti dal re Alboino a varcare le Alpi e a tentare l’impresa italiana per sfuggire alla pressione minacciosa che esercitava sul confine danubiano un popolo delle steppe, gli Àvari. Inizialmente molto violenta, la conquista longobarda iniziò con la presa di  Cividale, dove fu insediato uno dei duchi che erano al seguito di Alboino, Gisulfo, con i suoi clan di armati. Nel giro di pochi anni furono presi i castelli e le città e cittadine della Venetia , fu presa Milano e nel 572 Pavia, che divenne capitale del regno. Tre anni dopo iniziò la conquista del Mezzogiorno d’Italia. Essa non fu completa, ma nemmeno a nord e nel centro d’Italia la sovranità dei re e dei duchi longobardi si estese in totale continuità. Certamente era nelle ambizioni dei Longobardi una conquista completa dell’Italia, ma la resistenza bizantina fu insormontabile a Ravenna, a Roma, nelle Puglie e in Calabria.

    Gli spazi dominati dai longobardi erano comunque vasti e importanti e nel corso del secolo VII in questi spazi si realizzarono coesistenze, assestamenti, percorsi di uniformità e importanti sviluppi culturali. Al tempo del re Rotari i Longobardi non comprendevano più la loro lingua, mentre nei territori si svolgeva il processo cha dalla radice latina avrebbe condotto in tutta l’Europa occidentale verso le lingue romanze. Sul terreno della scrittura dominò il latino, e in latino fu redatto nel 643 presso la corte di Rotari un lungo testo di legge (l’Editto) che era inteso soprattutto a reprimere gli atti di violenza. La tendenza proseguì con la legislazione del più importante fra i successori di Rotari, Liutprando, re dal 711 al 744, che nelle sue leggi volle contenere la pratica della giustizia privata, la faida: una pratica che in realtà avrebbe percorso anche i secoli a venire e che solo nell’età dei Comuni sarebbe stata repressa. Al tempo di re Liutprando si realizzò anche una vistosa produzione artistica e una larga ripresa della tradizione epigrafica  antica, e fu nuovamente intessuta una rete di rapporti solidali sia con Bisanzio sia con il regno dei Franchi. Restava come punto più debole del regno la grande autonomia dei duchi, segnatamente quelli del Friuli, di Spoleto e di Benevento. Le loro iniziative suscitarono grande preoccupazione presso la Chiesa di Roma, e d’altronde non era venuta meno l’ambizione longobarda per una conquista completa dell’Italia. Un punto nevralgico era Ravenna, e quando uno dei successori di Liutprando volle occuparla il Papato si rivolse per aiuto non a Bisanzio, dal cui potere si era allontanato in seguito a questioni fiscali e religiose, bensì al franco Pipino: il papa ne appoggiò l’ascesa al trono, con detronizzazione della dinastia merovingia. Ravenna fu ripresa e consegnata non al suo legittimo proprietario, l’imperatore bizantino, ma al papa, dando inizio al potere temporale della Chiesa di Roma.

    L’alleanza tra il Papato e i Franchi si consolidò con il successore di Pipino, Carlo, che nel 774 scese in Italia, sconfisse militarmente il re longobardo Desiderio e si proclamò “re dei Franchi e dei Longobardi”. Era una unione personale: sotto una stessa corona erano due popolazioni che erano distinte per usanze e leggi e che tali sarebbero rimaste entro il regno di Carlo e poi entro il suo impero. Il quale, come gli imperi antichi che voleva emulare, si caratterizzava appunto per il dominio su popoli diversi e per il rispetto delle rispettive tradizioni. Se al vertice dei poteri regionali vennero istituiti nel corso del tempo non più i duchi ma i conti, come era nella tradizione franca, non vi furono però sostituzioni etniche, e molti duchi longobardi rimasero al loro posto, con l’ovvia eccezione del duca del Friuli Rotgaudoche nel 776, cioè due anni dopo la vittoria di Carlo su Desiderio, aveva tentato una ribellione nel segno di una identità longobarda ed era stato sconfitto ed ucciso. Ma altri grandi del regno longobardo non furono rimossi. Nel corso del tempo, gli uffici più importanti del regno d’Italia sarebbero stati ricoperti da franchi, alemanni, bavari, burgundi, e ovviamente da numerose persone di stirpe longobarda. Quello che è più importante, le tradizioni longobarde persistettero sia nel nord che nel sud d’Italia per secoli, e almeno una di esse, il principio della successione ereditaria dei figli maschi in parti eguali, dunque distinta dal sistema franco della primogenitura, sarebbe stata un elemento cruciale nelle istituzioni familiari italiane.

Immagine di copertina: una foto scattata dentro al Museo di Cividale al sarcofago di Gisulfo, morto nel 610 a Cividale. Gisulfo è stato il primo dei 18 duchi del Friuli e fu nominato da re Alboino prima di proseguire la conquista di molta parte del resto dell’Italia Settentrionale.